giovedì 3 marzo 2016

Attuazione della Direttiva Mutui 2015/07/UE: violazione del divieto di patto commissorio?

Il 21 gennaio scorso il governo ha inviato alla Camera dei Deputati uno schema di decreto legislativo recante, tra l'altro, "attuazione della direttiva 2014/17/UE in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali". A seguito delle gravi polemiche che ne sono seguite, con l'accusa al Governo, da parte dei banchi delle opposizioni, di favorire illecitamente le banche a a scapito dei cittadini mutuatari, l'On. Catalano mi ha chiesto di valutare la compatibilità delle norme in via di introduzione con il diritto interno italiano e, in particolare, con il divieto di patto commissorio. Infatti, secondo il deputato M5S Daniele Pesco, la possibilità concessa alle banche di vendere l'immobile in caso di mancato, o ritardato pagamento superiore ai 30 giorni, delle rate del mutuo immobiliare, per più di sette volte anche non consecutive, finirebbe per violare tale principio.

Per valutare tale asserzione, è opportuno prima di tutto esaminare la norma "incriminata", ossia l'art. 1, comma 2 dello schema di decreto, laddove introduce nel decreto legislativo n. 385/1993 (Testo Unico bancario) un nuovo articolo 120-quinquiesdecies. Il comma 3 di quest'ultimo articolo prevede che: "le parti del contratto possono convenire espressamente, al momento della conclusione del contratto di credito o successivamente, che in caso di inadempimento del consumatore la restituzione o il trasferimento del bene immobile oggetto di garanzia reale o dei proventi della vendita del medesimo bene comporta l'estinzione del debito, fermo restando il diritto del consumatore all'eccedenza. Il valore del bene immobile oggetto della garanzia è stimato da un perito scelto dalle parti di comune accordo con una perizia successiva all'inadempimento secondo quanto previsto all'articolo 120-duodecies".

Passiamo quindi a esaminare l'art. 2744 codice civile che prescrive la nullità del patto commissorio, ossia il "patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell'ipoteca o del pegno".

La ratio di tale divieto è stata lungamente discussa sia in dottrina che in giurisprudenza. Tradizionalmente, si sono confrontate tesi che mettono l'accento sulla tutela del debitore, vuoi per impedire una "illecita coercizione" dello stesso, vuoi per prevenire sproporzioni fra l’importo del debito e il valore del bene oggetto della garanzia, e tesi che invece puntano sulla necessità di tutelare la par condicio creditorum, sia per impedire che, al di fuori delle tipiche cause di prelazione previste dal codice civile, un creditore venga privilegiato, sia per prevenire che alcuni beni siano sottratti al patrimonio del debitore per un importo superiore al valore del debito, in pregiudizio ovviamente agli altri creditori. Peraltro, si sono aggiunte negli ultimi anni ulteriori tesi. In particolare, considerato che la tutela opera attraverso la sanzione della nullità, e quindi erga omnes, anziché con strumenti rimessi alla parte concretamente lesa, si è sostenuto che l'interesse protetto non sia individuale, ma pubblico. Tuttavia, anche circa l'individuazione di tale interesse, si confrontano diverse posizioni.L'individuazione della ratio non è una questione teorica o dottrinaria, ma di immediata rilevanza pratica, per delimitare i limiti del divieto.

In particolare, se la ratio fosse quella di tutelare il patrimonio del debitore da un'eccessiva sproporzione fra importo del debito e bene oggetto della garanzia, rimarrebbe escluso dal divieto il patto marciano. Secondo la descrizione offerta dalla Treccani, "il patto marciano è ignoto alla legge positiva, ma gode di una millenaria tradizione dogmatica, risalendo ad una probabile interpolazione giustinianea di un testo del giurista Marciano, che permetteva al creditore insoddisfatto di appropriarsi della cosa ricevuta in garanzia, purché stimata al giusto prezzo («rem iusto pretio tunc aestimandam»: D.20.1.16.9)".

L'art. 120-quinquiesdecies, proprio in virtù della previsione di una perizia successiva sul valore del bene, con restituzione al debitore dell'eccedenza rispetto all'entità del debito, descrive quindi un tipico patto marciano.

La recente giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. 9 maggio 2013, n. 10986) ha preso una posizione inequivoca. Fondando infatti il divieto di patto commissorio sull'esigenza di tutelare patrimonialmente il debitore da indebite sproprorzioni, la Corte ha infatti escluso che il divieto di cui all'art. 2744 operi in riferimento al patto marciano. Ne consegue, per quanto di nostro interesse, che la previsione contenuta nelle previste modifiche al T.U. bancario non costituisce una deroga, né tantomeno una violazione, della norma di cui all'art. 2744 c.c.. Quest'ultima, in ogni caso, non ha rango costituzionale e ben potrebbe venire modificata, limitata o abrogata da un atto avente forza di Legge, tra l'altro attuativa di obblighi che derivano dall'ordinamento comunitario, ex art. 117 cost.

Più in generale, si deve osservare che il divieto di patto commissorio è in via di limitazione. Gli orientamenti recenti ne hanno contenuto la portata, interpretandolo come uno strumento finalizzato a impedire l'ingiustificato arricchimento del creditore a scapito del debitore. Infatti, nei casi in cui una tale situazione non si verifica, i limiti che il divieto pone all'autonomia contrattuale risultano sempre meno giustificabili. Tra l'altro molti altri ordinamenti europei neppure conoscono un tale divieto e le Sezioni Unite, chiamate a pronunciarsi sul punto, hanno escluso che il divieto sia ascrivibile all'ordine pubblico internazionale  (v. Martino, M., Le Sezioni Unite sui rapporti tra divieto del patto commissorio e ordine pubblico internazionale, in Giur. comm., 2012, II, 693 s.). Ne consegue che eventuali norme straniere, applicabili in Italia secondo le regole di diritto internazionale privato, possono trovare applicazione anche qualora consentano i patti commissori.





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