mercoledì 17 febbraio 2016

Siria. E gli ospedali, si possono bombardare?

All'inizio di questa settimana, diversi ospedali (nonché due scuole) in Siria sono stati bombardati, cagionando oltre 50 morti e privando un considerevole bacino di popolazione dell'accesso a strutture sanitarie. Gli attacchi sono avvenuti sullo sfondo di una grande offensiva della coalizione pro-Assad, che grazie al determinante sostegno e al supporto aereo della Russia sta volgendo a suo favore le sorti della guerra. L'offensiva, al momento, non è primariamente diretta contro lo Stato Islamico, ma contro il territorio controllato dai ribelli non-Isis, sostenuti dagli stati sunniti e, assai più blandamente, da Francia e Stati Uniti.

Le forze lealiste cingono ora d'assedio Aleppo, un tempo la più popolosa città della Siria, centro della rivoluzione e tuttora principale centro urbano controllato dai ribelli. Con l'avanzata delle forze di Assad, decine di migliaia di civili stanno fuggendo verso il confine turco.

I bombardamenti contro strutture civili sono avvenuti in prossimità o all'interno dei centri urbani di Aleppo e Idlib, in zone a controllo ribelle di FSA e alleati. La Russia e il governo di Assad, indicati da alcune ONG come probabili esecutori degli attacchi, hanno finora negato il proprio coinvolgimento, bollandolo come un operazione di propaganda ostile. La Russia, per bocca del vice ministro degli Esteri Gennadi Gatilov, ha comunque comunicato che "i bombardamenti su obiettivi dei gruppi terroristici continueranno in ogni caso, anche se si arriverà a un accordo per il cessate il fuoco in Siria" e che "il cessate il fuoco riguarderà coloro che sono davvero interessati all'avvio del processo di dialogo e non i terroristi",

Dall'inizio della guerra in Siria, Amnesty International ha contato 336 attacchi contro centri medici, attribuibili per la maggior parte alle forze che sostengono il Presidente Assad. Questi attacchi costituiscono crimini di guerra? Come spesso accade nel campo del diritto internazionale umanitario, sono sconsigliabili giudizi affrettati. Non basta infatti accertare che un attacco, che ha comportato vittime civili, sia attribuibile a una delle parti. E' necessario dimostrare o che tale attacco fosse diretto a colpire un obbiettivo di carattere unicamente civile o che l'attacco, pur essendo diretto contro un obbiettivo militare, fosse sproporzionato. 

Nel primo caso, ci troveremmo di fronte a una manifesta violazione del principio di distinzione, oggi ritenuto di natura consuetudinaria, in base al quale è fatto obbligo a ogni belligerante di distinguere tra combattenti e civili, astenendosi dall'attaccare questi ultimi (e, ancor di più, obbiettivi civili qualificati come scuole, ospedali, luoghi di culto). Nel secondo caso, viene invece in luce un corollario del principio sopra esposto: il principio di proporzione. Un attacco, infatti, anche quando abbia mprimariamente ad oggetto un obbiettivo militare, non deve cagionare danni collaterali eccessivi rispetto al vantaggio militare atteso. La valutazione deve essere fatta ex ante, alla luce delle informazioni di cui disponeva l'agente nel momento in cui ha sferrato l'attacco. Rimane problematico definire, nei singoli casi concreti, quando un attacco possa considerarsi proporzionato o meno, con il rischio di applicazioni differenziate del principio; morbide per gli amici, rigide per i nemici.

Per le poche informazioni per ora disponibili, e con riserva di più approfondite verifiche, non pare che sussistessero obbiettivi militari nell'immediata prossimità delle strutture mediche e scolastiche colpite. Il che potrebbe evidenziare una criminosa volontà di colpire direttamente la popolazione (per lo più di fede sunnita) delle zone che sostengono la ribellione. Ciò risponderebbe, secondo le accuse alle quali ha dato voce, tra gli altri, il Presidente dell'ALDE Guy Verhofstadt, a una deliberata strategia per aumentare la pressione migratoria verso la Turchia e verso l'Unione Europea, tale da indebolire e frammentare l'Unione e rafforzare le forze politiche reazionarie appoggiate dal Cremlino. L'estrema gravità dell'accusa suggerisce in ogni caso una certa cautela nell'esprimere giudizi, anche visto il livello di polarizzazione raggiunta. I gravi fatti dei giorni passati, così come quelli dei cinque anni precedenti, meriterebbero di essere indagati approfonditamente e da un soggetto il più possibile imparziale, al fine di individuare eventuali responsabilità per crimini di guerra in tutti gli schieramenti del bagno di sangue siriano. Difficilmente ciò avverrà. 

Nel frattempo, è singolare il disinteresse dimostrato da gran parte dell'opinione pubblica in relazione ai massicci bombardamenti aerei russi e alle relative vittime civili. Singolare ove si pensi alla immediata attenzione, al seguito appassionato, alle generalizzate accuse di crimini di guerra o - addirittura - contro l'umanità, che fanno da sfondo a pressoché ogni operazione militare condotta dagli USA e dai suoi alleati (e, fra tutti, Israele), con cortei titanici e talvolta problematiche "eccedenze". Un tale genere di pressione, soprattutto se proviene dalla propria popolazione, impone ai leader politici e militari di fare sforzi per arginare il numero di vittime civili, anche a costo di sacrificare alcune opportunità militari. Questa coazione è salutare, e comunque inevitabile in una società aperta, per definizione predisposta alla critica. Lo sforzo di rendere la guerra più umana può essere visto come un obbiettivo minimalista, se non addirittura controproducente, in quanto la renderebbe più accettabile. La storia però ci insegna diversamente: nessuno ha mai rinunciato a una guerra per la disumanità delle sue conseguenze.

Nessun commento:

Posta un commento