martedì 28 giugno 2016

Iura novit curia? Non per il Consiglio di Stato.

Pochi giorni fa, il Consiglio di Stato ha depositato la Sentenza n. 2806/2016, emessa nel procedimento n. 9095/2015 Reg. Ric.. L'esito di tale procedimento era particolarmente atteso - per opposte ragioni - dagli operatori dei servizi di taxi e di noleggio con conducente (NCC), in considerazione del potenziale impatto sul secondo di tali servizi. Il giudizio aveva infatti ad oggetto una sanzione amministrativa, sospensiva dell'autorizzazione all'esercizio del servizio NCC, irrogata nei confronti di un noleggiatore che non si era dotato di una rimessa all'interno del territorio comunale, come previsto dall'art. 3, comma 3, della L. n. 21/1992. La disposizione fu introdotta tramite il contestato articolo 29, comma 1-quater del Decreto Legge n. 207/2008, sul quale torneremo fra breve.

Nel corso del giudizio di primo grado, di fronte al TAR Lazio, era stata proposto un complesso rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, mirante a verificare la conformità delle norme interne a quelle europee e in particolare a quelle in materia di libera concorrenza, risoltosi tuttavia in un sostanziale nulla di fatto, posto che la Corte non è entrata nel merito delle questioni, ritenute in parte irricevibili, e in parte al di là della competenza della Corte stessa. Ripreso il procedimento, il TAR Lazio ha rigettato il ricorso del noleggiatore.

L'operatore NCC ha quindi proposto appello, riproponendo diversi motivi relativi - tra l'altro - al carattere discriminatorio  della disciplina del settore e al contrasto di quest'ultima con le norme, anche europee, in materia di libera concorrenza. Infine, l'appellante ha sostenuto che le norme dell'art. 29, co. 1-quater non siano attualmente in vigore. Il Consiglio di Stato non ha accolto nessuno dei motivi di appello proposti. In questa sede, intendo concentrarmi sull'analisi del solo - ma potenzialmente determinante - motivo d'appello relativo alla (non) vigenza delle norme introdotte nel 2008.

Richiamo integralmente la motivazione del C.d.S nella parte in cui ritiene che il motivo sia "inammissibile, ex art. 104, comma 1, c.p.a., nella parte in cui deduce l’inapplicabilità alla fattispecie delle disposizioni, degli artt. 3 e 11 della L. n. 21/1992, che stabiliscono l’obbligo di iniziare e terminare il servizio in una rimessa ubicata nel comune che ha rilasciato l’autorizzazione, in virtù delle norme di cui agli artt. 1, comma 388, della L. 24/12/2012 n. 228, e 8, comma 1, del D.L. 31/12/2014 n. 192, che ne avrebbero sospeso l’efficacia applicativa: trattasi, infatti, di censura nuova non dedotta in primo grado". Secondo quanto sostenuto dai giudici amministrativi, la nuova censura sarebbe inammissibile in quanto proposta per la prima volta in grado di appello. 

Tale tesi è inaccettabile. Se si sostiene che, in forza di una norma di Legge, la vigenza di una disposizione è sospesa, non si sta deducendo la mera "inapplicabilità alla fattispecie" della stessa, ma l'inesistenza, durante la sospensione, del relativo contenuto precettivo e quindi l'inapplicabilità a qualunque fattispecie. Negli ordinamenti giuridici moderni (e non solo) le parti non hanno alcun onere di allegare o provare il diritto al giudice, in forza del basilare e secolare principio dello iura novit curia. In virtù di tale regola, "il giudice deve considerarsi tenuto ad acquisire la conoscenza delle norme giuridiche applicabili, secondo il diritto vigente, alla fattispecie concreta senza alcun vincolo o limitazione di sorta promanante dalle affermazioni e indicazioni di parte" (efficace definizione tratta da Cristina Faone, "L’inflazione normativa: un eventuale limite alla regola iura novit curia", di ).

Ne consegue che, fermi gli obblighi deontologici di lealtà che gravano sul difensore, il tema di indagine relativo alla vigenza di una disposizione può essere indicato dalle parti in qualsiasi momento. Si tratta di  una valutazione che il giudice potrebbe e anzi dovrebbe svolgere d'ufficio. Già in passato, il Consiglio di Stato è stato criticato dalla dottrina per aver dato interpretazione riduttive di tale principio. Ma, nel caso oggi in esame, si va ben oltre l'interpretazione riduttiva. Qui vi è una aperta, totale svalutazione dello iura novit curia, rispetto alla quale il Consiglio neppure ha offerto una motivazione.

Il giudice amministrativo ha quindi confermato la legittimità della sanzione irrogata sulla base della citata norma. Norma che però, come già ho argomentato, come è stato annualmente confermato dal Parlamento in sede di Milleproroghe e come reiterato più volte dal Governo durante l'ultimo anno, non è in vigore!

venerdì 17 giugno 2016

Assassinio di Jo Kox: il terrorismo nazionalista torna a insanguinare l'Europa.

"Deputata inglese pro UE uccisa da un pazzo": questo è il sottotitolo che accompagna l'articolo, a firma della redazione, comparso su Il Giornale di stamattina. Il contenuto, meno osceno di quanto il titolo potesse far presagire, denota però la scelta, assai significativa, di non utilizzare il termine terrorismo. Non solo in una parte della stampa conservatrice, ma in molti dei contributi che si possono leggere online, e soprattutto negli status condivisi e nei commenti pubblicati, emerge la malcelata volontà di eliminare la dimensione politica del crimine, riducendo il tutto alle supposte cause patologiche dell'azione. 

Non che si tratti di un fenomeno nuovo: questo genere di banalizzazione si è già visto, da parte di commentatori di opposti schieramenti, in occasione di gravissime azioni di terrorismo degli ultimi anni, da Utoya, a Tolosa, a Orlando. Queste letture riduttive non sono però accettabili.

Prima di tutto, è il concetto di pazzia a essere problematico. Come si può constatare frequentando le aule penali, è tutt'altro che semplice tracciare il discrimine tra comportamenti "devianti" di origine patologica e non. Ciò per il semplice fatto che la "normalità" mentale non è una caratteristica tangibile e osservabile dell'essere umano, ma è un modello, costruito sulla base di quel poco che sappiamo del cervello umano e, soprattutto, sulla base di un accertamento epidemiologico/statistico, ossia sul modo in cui si sviluppano i processi mentali nella maggior parte degli esseri umani. Anche se ancorato quanto più possibile a criteri scientifici, l'accertamento della natura patologica di un pensiero presenta quindi dei significativi profili di discrezionalità.

Ma, ancor più importante è rendersi conto che l'esistenza di una qualche forma di disagio psichico in capo agli assassini non influisce comunque sulla natura eventualmente politica degli atti criminali posti in essere. Questo perché le vittime sono state scelte sulla base di considerazioni politiche. La situazione non è assolutamente paragonabile a quella di un soggetto come Kabobo che, in preda a un raptus omicida, attacca i passanti. In tutti i casi citati, invece, le vittime sono state scelte per la loro appartenenza a un gruppo considerato nemico della propria identità o, nel caso della deputata Jo Kox, specificamente per determinate posizioni politiche dalla stessa sostenute.

Se fosse necessario argomentare ulteriormente sulla politicità dell'assassinio, si potrebbero pure richiamare quelle innumerevoli esternazioni che, magari pur condannando espressamente l'omicidio, ne cercavano una spiegazione - se non una vera e propria giustificazione- nelle scelte politiche di cui la Kox si era fatta portavoce. Scelte che vengono quotidianamente additate da alcuni come una minaccia di ampia portata al benessere, se non alla stessa sopravvivenza, del "popolo", della "gente comune" o delle "nazioni europee". Queste esternazioni dimostrano che l'atto del singolo, anche laddove considerato estremo e quindi non appoggiato, viene pienamente compreso nella sua dimensione politica da quella parte delle nostre nazioni che avversa le attuali politiche migratorie e comunitarie.

Anche in assenza di organizzazioni terroristiche strutturate, quanti lupi solitari potremmo avere nei prossimi anni? Si profila l'emergere, nei paesi europei, di una minaccia terroristica di stampo nazionalista radicale. Per prevenirla, non sarà sufficiente la messa in opera di strumenti legali e culturali. Infatti, in assenza di un'evoluzione verso una più profonda integrazione europea, si sta assistendo a una disgregazione degli interessi già messi in comune, destinati a essere sostituiti da una più forte competizione commerciale e dalla lotta per l'espansione dei mercati "nazionali" dei singoli paesi europei. Insomma quelle condizioni strutturali che furono identificate, nel secondo dopoguerra, come il fattore economico principale che aveva determinato le due guerre mondiali.

Sarebbe ora di ricordarci che, prima che per considerazioni economiche, e prima che per costituire un baluardo coeso contro l'espansione sovietica, l'integrazione europea fu concepita come un sigillo, nel quale imprigionare i demoni che, per due volte nel corso di un secolo, avevano incendiato il mondo.