domenica 20 novembre 2016

Kyenge shock: fotografata con Omar al-Mukhtār: ecco cosa è successo... una piccola riflessione su clickbait e disinformazione online.


Non c'è nessuna foto imbarazzante dell'On. Kyenge, anche perché Omar al-Mukhtār è stato impiccato nel 1931. Se hai visto questo titolo su un social network e ci hai creduto, la combinazione di parole chiave ha raggiunto il suo scopo. In tal caso, non è verosimilmente la prima volta che vieni ingannato in questo modo, per farti fare un click o, ancora meglio, una condivisione. Oggi, però, l'ho fatto perché non ne posso più di vedere decine dei miei contatti cadere così facilmente nelle trappole della disinformazione online e dei clickbaits.

Con questo ultimo termine si indicano dei contenuti specificamente concepiti per generare profitti pubblicitari ai siti che li ospitano, a scapito della verità e della qualità delle notizie, sfruttando titoli accattivanti e sensazionalisti o immagini d'effetto, che incitano a cliccare link e a farli condividere. Il tipico post clickbait é costruito in modo da darti abbastanza informazioni per attrarre il tuo interesse, ma non abbastanza da soddisfare la tua curiosità, così spingendoti a cliccare sul link. Generalmente. dopo aver cliccato, emerge l'effettiva scarsità di contenuto della pseudonotizia, partita con un titolo sensazionalistico che corrisponde in minima parte al contenuto della "notizia". Esistono interi portali anche in Italia, che vivono con questo espediente, alcuni dei quali, come tzetze, con un traffico e una diffusione imponente. Sul suo blog, Raffaele Giovanditti offre una serie di esempi di clickbait, una casistica che spiega più di mille parole.

In astratto, il clickbaiting non parrebbe un fenomeno così pericoloso. Sembra, più che altro, la versione online di quella forma di giornalismo scandalistico diffuso nel mondo anglosassone, noto come yellow journalism (un esempio probabilmente conosciuto anche in Italia è quello del "giornale" inglese Sun).  Tuttavia, quando questo genere di contenuti, grazie alla viralità delle piattaforme online, diventa una delle principali forme di informazione di una larga parte della popolazione, diventa un problema sociale e politico.

Questi contenuti esagerati, falsi o ingannevoli diventano ancor più pericolosi quando non sono semplicemente diretti ad arricchirsi, ma sono inseriti in un disegno di vera e propria propaganda politica. In questo caso non siamo più nel campo del clickbaiting inteso in senso stretto, ma nel campo di una forma nuova e virale di disinformazione. I giornali anglosassoni, negli ultimi giorni, stanno approfondendo proprio l'influenza avuta da questa disuctibile propaganda nell'elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti.

Oltre alla viralità, questa forma di disinformazione è resa ancor più pericolosa da un fenomeno noto come echo chamber. Nella nostra vita digitale, ciascuno di noi tende a inserirsi in comunità di persone simili, visitando e collaborando a pagine/forum sulla base di comunanze di interessi e, collegandosi sui social network con persone a sé affini. In una tale comunità virtuale, un'opinione non viene spesso a trovarsi contrapposta a quella contraria, ma viene al contrario continuamente ribadita e rilanciata (per questo si chiama effetto "eco"), rafforzandosi quindi sempre di più a ogni passaggio, per ogni partecipante.

Faccio un esempio, necessariamente semplificato, per capirci: su un forum di discussione nazionalista, condivido un articolo con opinioni molto estreme contro i profughi, articolo rispetto al quale sono inizialmente solo in parte d'accordo, perché in effetti è forse fin troppo estremo. Se però le altre persone che frequentano il forum riscontrano tutte positivamente l'articolo e lo rilanciano, con nuovi post di uguale tenore, ciò rinforzerà la mia opinione, che inizialmente era favorevole ma non fino in fondo. Dopo alcuni passaggi, non mi porrò più dubbi e condividerò totalmente l'opinione estrema dell'articolo da me originariamente postato.

Nella realtà, questo avviene non tanto sul singolo post, ma sul complesso delle mie condivisioni nel corso del tempo, e tuttavia è reciproco, nel senso che io non solo ricevo l'eco degli altri, ma creo anche io un eco a ciascuno di loro. Un fenomeno del genere si è sempre verificato in tutte le comunità chiuse. Oggi però una percentuale sempre maggiore delle nostre interazioni sociali avviene tramite internet, mentre un tempo la discussione di temi politici e sociali si faceva essenzialmente dal vivo, spesso in luoghi pubblici come i caffè, i treni, i luoghi di lavoro e di studio. In questi luoghi, era inevitabile confrontarsi con una pluralità di opinioni, anche contrarie, e ciò portava a ripensamenti, riflessioni e mediazioni. L'esatto contrario di ciò che avviene oggi: ciascuno di noi interagisce principalmente in un fortino virtuale di persone che in gran parte già la pensano come noi.

In un tale ambiente, la disinformazione corre molto veloce. Infatti, leggendo una pseudo-notizia che corrisponde all'idea che già mi sono fatto su una determinata tematica (per esempio su un crimine apparentemente commesso da degli immigrati), tenderò a considerarlo vero, senza fare alcuna verifica, e magari condividerò di nuovo il relativo contenuto, così contribuendo a diffondere ulteriormente la falsità. Così faranno tutti gli altri nella mia "comunità virtuale" e la nostra opinione ne risulterà ulteriormente rafforzata, e così via in un ciclo continuo di radicalizzazione.

Eppure basterebbe poco per sgonfiare le menzogne. Per esempio, hai verificato che la notizia abbia una data precisa, e individui il tempo e il luogo dei fatti? Le bufale meno raffinate spesso non indicano quando è avvenuto il fatto, così da rendere impossibile una verifica e da poter ritornare virali anche a distanza di tempo. E poi, l'autore si è firmato? L'autore identifica le sue fonti? Se la fonte è un altro articolo, quest'ultimo ha a sua volta una fonte? Nota bene, un semplice link in ipertesto non è di per sè una fonte attendibile. Spesso articoli falsi usano come fonte... un altro articolo falso, magari con due o tre passaggi. Addirittura, una volta ho trovato un articolo A) che linkava come fonte l'articolo B), che linkava a sua volta come fonte l'articolo A).

Può accadere, ogni tanto, che qualcuno evidenzi che la notizia è una bufala. Tuttavia, in una comunità di opinioni omogenee, ciò non avverrà mai abbastanza spesso da fare cambiare opinione. La comunità infatti si auto-assolverà per aver condiviso la falsità, in quanto dopotutto essa è credibile, corrispondendo all'idea che i suoi membri si sono fatti della realtà. Non ho scelto il titolo sulla Kyenge a caso, ma sulla base di una discussione effettivamente letta su facebook. Un mio contatto aveva condiviso l'ennesima denuncia scandalizzata di una supposta dichiarazione offensiva contro gli italiani apparentemente proferita dall'ex ministro Kyenge. Dopo che - fatto raro - qualcuno aveva commentato fornendo una fonte che dimostrava la falsità della notizia, il suo autore aveva risposto qualcosa del genere: "sai, con tutte le cose indecenti e assurde che dice la Kyenge contro gli italiani, poteva anche starci".

Peccato però che la Kyenge non abbia mai insultato gli italiani, e le decine di dichiarazioni offensive o provocatorie che le sono attribuite siano tutte false, dalla prima all'ultima.

Prima di congedarmi, vi segnalo la lista nera dei siti di disinformazione/clickbait compilata da un noto sito di fact checking italiano. Magari, la prossima volta, prima di condividere un contenuto o di metterci un like, verificate anche l'attendibilità di chi lo ha pubblicato.