venerdì 17 giugno 2016

Assassinio di Jo Kox: il terrorismo nazionalista torna a insanguinare l'Europa.

"Deputata inglese pro UE uccisa da un pazzo": questo è il sottotitolo che accompagna l'articolo, a firma della redazione, comparso su Il Giornale di stamattina. Il contenuto, meno osceno di quanto il titolo potesse far presagire, denota però la scelta, assai significativa, di non utilizzare il termine terrorismo. Non solo in una parte della stampa conservatrice, ma in molti dei contributi che si possono leggere online, e soprattutto negli status condivisi e nei commenti pubblicati, emerge la malcelata volontà di eliminare la dimensione politica del crimine, riducendo il tutto alle supposte cause patologiche dell'azione. 

Non che si tratti di un fenomeno nuovo: questo genere di banalizzazione si è già visto, da parte di commentatori di opposti schieramenti, in occasione di gravissime azioni di terrorismo degli ultimi anni, da Utoya, a Tolosa, a Orlando. Queste letture riduttive non sono però accettabili.

Prima di tutto, è il concetto di pazzia a essere problematico. Come si può constatare frequentando le aule penali, è tutt'altro che semplice tracciare il discrimine tra comportamenti "devianti" di origine patologica e non. Ciò per il semplice fatto che la "normalità" mentale non è una caratteristica tangibile e osservabile dell'essere umano, ma è un modello, costruito sulla base di quel poco che sappiamo del cervello umano e, soprattutto, sulla base di un accertamento epidemiologico/statistico, ossia sul modo in cui si sviluppano i processi mentali nella maggior parte degli esseri umani. Anche se ancorato quanto più possibile a criteri scientifici, l'accertamento della natura patologica di un pensiero presenta quindi dei significativi profili di discrezionalità.

Ma, ancor più importante è rendersi conto che l'esistenza di una qualche forma di disagio psichico in capo agli assassini non influisce comunque sulla natura eventualmente politica degli atti criminali posti in essere. Questo perché le vittime sono state scelte sulla base di considerazioni politiche. La situazione non è assolutamente paragonabile a quella di un soggetto come Kabobo che, in preda a un raptus omicida, attacca i passanti. In tutti i casi citati, invece, le vittime sono state scelte per la loro appartenenza a un gruppo considerato nemico della propria identità o, nel caso della deputata Jo Kox, specificamente per determinate posizioni politiche dalla stessa sostenute.

Se fosse necessario argomentare ulteriormente sulla politicità dell'assassinio, si potrebbero pure richiamare quelle innumerevoli esternazioni che, magari pur condannando espressamente l'omicidio, ne cercavano una spiegazione - se non una vera e propria giustificazione- nelle scelte politiche di cui la Kox si era fatta portavoce. Scelte che vengono quotidianamente additate da alcuni come una minaccia di ampia portata al benessere, se non alla stessa sopravvivenza, del "popolo", della "gente comune" o delle "nazioni europee". Queste esternazioni dimostrano che l'atto del singolo, anche laddove considerato estremo e quindi non appoggiato, viene pienamente compreso nella sua dimensione politica da quella parte delle nostre nazioni che avversa le attuali politiche migratorie e comunitarie.

Anche in assenza di organizzazioni terroristiche strutturate, quanti lupi solitari potremmo avere nei prossimi anni? Si profila l'emergere, nei paesi europei, di una minaccia terroristica di stampo nazionalista radicale. Per prevenirla, non sarà sufficiente la messa in opera di strumenti legali e culturali. Infatti, in assenza di un'evoluzione verso una più profonda integrazione europea, si sta assistendo a una disgregazione degli interessi già messi in comune, destinati a essere sostituiti da una più forte competizione commerciale e dalla lotta per l'espansione dei mercati "nazionali" dei singoli paesi europei. Insomma quelle condizioni strutturali che furono identificate, nel secondo dopoguerra, come il fattore economico principale che aveva determinato le due guerre mondiali.

Sarebbe ora di ricordarci che, prima che per considerazioni economiche, e prima che per costituire un baluardo coeso contro l'espansione sovietica, l'integrazione europea fu concepita come un sigillo, nel quale imprigionare i demoni che, per due volte nel corso di un secolo, avevano incendiato il mondo.

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