Sospendere Shengen, ripristinando i controlli alle frontiere nazionali, a seguito del recente attacco terroristico a Berlino, sarebbe un errore dalle conseguenze incalcolabili. La libera circolazione delle persone non è solo il più immediato beneficio derivante dall'integrazione europea, ma è anche il segno tangibile di quanto l'Unione non sia una struttura con fini meramente commerciali, ma un valore e un'opportunità molto più ampia per l'esistenza dei suoi cittadini.
Stiamo affrontando una minaccia terroristica portata avanti da qualche centinaio di persone su una popolazione di centinaia di milioni. Davvero intendiamo cedere a questa infima minoranza? Davvero siamo disposti a prendere in considerazione una misura come la sospensione di Shengen, che colpirebbe duramente, anche a livello economico, milioni di persone? Se abbandoniamo Shengen, rendiamo i nostri popoli più poveri e più divisi, per inseguire una maggior sicurezza comunque incerta nell'an e nel quantum. Così facendo, consegnamo ai terroristi una vittoria che mai sarebbero in grado di ottenere da soli. I politici che chiedono l'abolizione di Shengen vorrebbero atteggiarsi a uomini forti, ma la via che indicano è quella del cedimento, della debolezza, dell'egoismo e della codardia.
La strada da seguire è esattamente quella opposta e si fonda su resilienza, coesione e cooperazione.
Dobbiamo potenziare la capacità delle nostre comunità di reagire positivamente a eventi traumatici e a stress persistenti, quali quelli generati dal fenomeno terroristico, trasformando la minaccia in una fonte di coesione e solidarietà tra gli individui e tra i popoli del continente. Dobbiamo poi studiare forme di cooperazione piú avanzate nell'intelligence, nella difesa e nella gestione della politica estera.
Le frontiere da sorvegliare ci sono già, ma non sono certo quelle interne, tra i singoli Stati nazionali: sono quelle dell'Europa.
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