Pochi giorni fa, il Consiglio di Stato ha depositato la Sentenza n. 2806/2016, emessa nel procedimento n. 9095/2015 Reg. Ric.. L'esito di tale procedimento era particolarmente atteso - per opposte ragioni - dagli operatori dei servizi di taxi e di noleggio con conducente (NCC), in considerazione del potenziale impatto sul secondo di tali servizi. Il giudizio aveva infatti ad oggetto una sanzione amministrativa, sospensiva dell'autorizzazione all'esercizio del servizio NCC, irrogata nei confronti di un noleggiatore che non si era dotato di una rimessa all'interno del territorio comunale, come previsto dall'art. 3, comma 3, della L. n. 21/1992. La disposizione fu introdotta tramite il contestato articolo 29, comma 1-quater del Decreto Legge n. 207/2008, sul quale torneremo fra breve.
Nel corso del giudizio di primo grado, di fronte al TAR Lazio, era stata proposto un complesso rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, mirante a verificare la conformità delle norme interne a quelle europee e in particolare a quelle in materia di libera concorrenza, risoltosi tuttavia in un sostanziale nulla di fatto, posto che la Corte non è entrata nel merito delle questioni, ritenute in parte irricevibili, e in parte al di là della competenza della Corte stessa. Ripreso il procedimento, il TAR Lazio ha rigettato il ricorso del noleggiatore.
L'operatore NCC ha quindi proposto appello, riproponendo diversi motivi relativi - tra l'altro - al carattere discriminatorio della disciplina del settore e al contrasto di quest'ultima con le norme, anche europee, in materia di libera concorrenza. Infine, l'appellante ha sostenuto che le norme dell'art. 29, co. 1-quater non siano attualmente in vigore. Il Consiglio di Stato non ha accolto nessuno dei motivi di appello proposti. In questa sede, intendo concentrarmi sull'analisi del solo - ma potenzialmente determinante - motivo d'appello relativo alla (non) vigenza delle norme introdotte nel 2008.
Richiamo integralmente la motivazione del C.d.S nella parte in cui ritiene che il motivo sia "inammissibile, ex art. 104, comma 1, c.p.a., nella parte in cui deduce l’inapplicabilità alla fattispecie delle disposizioni, degli artt. 3 e 11 della L. n. 21/1992, che stabiliscono l’obbligo di iniziare e terminare il servizio in una rimessa ubicata nel comune che ha rilasciato l’autorizzazione, in virtù delle norme di cui agli artt. 1, comma 388, della L. 24/12/2012 n. 228, e 8, comma 1, del D.L. 31/12/2014 n. 192, che ne avrebbero sospeso l’efficacia applicativa: trattasi, infatti, di censura nuova non dedotta in primo grado". Secondo quanto sostenuto dai giudici amministrativi, la nuova censura sarebbe inammissibile in quanto proposta per la prima volta in grado di appello.
Tale tesi è inaccettabile. Se si sostiene che, in forza di una norma di Legge, la vigenza di una disposizione è sospesa, non si sta deducendo la mera "inapplicabilità alla fattispecie" della stessa, ma l'inesistenza, durante la sospensione, del relativo contenuto precettivo e quindi l'inapplicabilità a qualunque fattispecie. Negli ordinamenti giuridici moderni (e non solo) le parti non hanno alcun onere di allegare o provare il diritto al giudice, in forza del basilare e secolare principio dello iura novit curia. In virtù di tale regola, "il giudice deve considerarsi tenuto ad acquisire la conoscenza delle norme giuridiche applicabili, secondo il diritto vigente, alla fattispecie concreta senza alcun vincolo o limitazione di sorta promanante dalle affermazioni e indicazioni di parte" (efficace definizione tratta da Cristina Faone, "L’inflazione normativa: un eventuale limite alla regola iura novit curia", di ).
Ne consegue che, fermi gli obblighi deontologici di lealtà che gravano sul difensore, il tema di indagine relativo alla vigenza di una disposizione può essere indicato dalle parti in qualsiasi momento. Si tratta di una valutazione che il giudice potrebbe e anzi dovrebbe svolgere d'ufficio. Già in passato, il Consiglio di Stato è stato criticato dalla dottrina per aver dato interpretazione riduttive di tale principio. Ma, nel caso oggi in esame, si va ben oltre l'interpretazione riduttiva. Qui vi è una aperta, totale svalutazione dello iura novit curia, rispetto alla quale il Consiglio neppure ha offerto una motivazione.
Il giudice amministrativo ha quindi confermato la legittimità della sanzione irrogata sulla base della citata norma. Norma che però, come già ho argomentato, come è stato annualmente confermato dal Parlamento in sede di Milleproroghe e come reiterato più volte dal Governo durante l'ultimo anno, non è in vigore!
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